venerdì 12 settembre 2025

Fermati e ascoltati

 

“Il silenzio è la forma più perfetta della parola.”
(Thomas Carlyle)


Viviamo immersi in un mondo che corre. Ogni giorno siamo attraversati da parole, immagini, suoni, richieste. La vita sembra scorrere in fretta, quasi senza respiro, e a volte ci troviamo a fine giornata con la sensazione di non aver avuto un solo momento davvero nostro.

Eppure, se ci fermiamo un istante, scopriamo che il silenzio ci accompagna sempre, come una sorgente nascosta. È dentro di noi, ma troppo spesso lo dimentichiamo, presi dalle urgenze e dai rumori del mondo. Il silenzio non è assenza, non è vuoto: è un grembo che accoglie, un terreno fertile che nutre l’anima.

Sant’Agostino scriveva: “Il silenzio è la lingua di Dio, tutto il resto è traduzione.” E se ci fermiamo ad ascoltarlo, scopriamo che il silenzio non spaventa, ma accoglie, non isola, ma unisce, non toglie, ma dona.

Il silenzio come nutrimento interiore

Quando mi concedo qualche momento di silenzio, magari passeggiando nella natura o semplicemente restando in ascolto del mio respiro, sento che qualcosa cambia. Non subito, non in modo eclatante. È un lento decantare. I pensieri si posano come polvere su un mobile appena spolverato, le emozioni trovano un ritmo più dolce, e ciò che sembrava confusione acquista chiarezza.

“Il silenzio è la notte dell’anima, ma una notte che nutre e prepara un nuovo giorno.” scriveva Friedrich Nietzsche. Quante volte ho sperimentato questa verità! Dopo un periodo di grande rumore, di impegni serrati o di emozioni contrastanti, solo il silenzio è stato in grado di ridarmi lucidità e pace.

Il silenzio non è inerzia, non è fuga. È spazio. È quel margine vitale che ci permette di non reagire d’impulso, ma di scegliere, di non essere travolti, ma di ritrovare il filo della nostra interiorità.

Fermarsi per ascoltare se stessi

Spesso pensiamo che ascoltare significhi solo dare attenzione agli altri. Ma prima ancora di ascoltare il mondo, abbiamo bisogno di imparare ad ascoltare noi stessi.

Blaise Pascal, con la sua lucidità, ricordava: “Tutta l’infelicità degli uomini deriva dal non saper restare tranquilli in una stanza.” Quanta verità in queste parole! Restare soli con noi stessi può essere difficile, perché significa incontrare anche le nostre fragilità, le nostre paure, i nostri nodi irrisolti. Ma è proprio lì che inizia la vera conoscenza di sé.

Ascoltarsi non significa giudicarsi, né analizzarsi in modo spietato. È, piuttosto, un atto di gentilezza. Significa riconoscere ciò che sentiamo, dar voce al cuore, accogliere la nostra umanità così com’è, senza maschere.

Il silenzio diventa allora un compagno fedele: ci aiuta a distinguere la voce autentica della nostra coscienza dal frastuono delle aspettative esterne. Ci restituisce a noi stessi.

Il silenzio che apre all’incontro

Potrebbe sembrare paradossale, ma il silenzio non è solo un fatto interiore: ci prepara anche alla relazione con gli altri. Quando impariamo a fermarci, ad ascoltare davvero senza interrompere, senza giudicare, il silenzio diventa un dono che offriamo.

Rainer Maria Rilke, in una delle sue Lettere a un giovane poeta, scriveva: “Amare è questo: che due solitudini si proteggano, si tocchino, si salutino.” E in questo toccarsi di anime, il silenzio ha un ruolo insostituibile. È ciò che permette all’altro di esistere senza che noi lo sommergiamo delle nostre parole o dei nostri consigli.

Quante volte, in una conversazione, un silenzio condiviso è più eloquente di mille frasi! In quel silenzio c’è rispetto, ascolto, presenza. Non è un vuoto, ma uno spazio pieno, vibrante, che ci fa sentire accolti.

Il silenzio e la natura

Personalmente trovo nel contatto con la natura una delle forme più pure di silenzio. Non è mai un silenzio assoluto, perché è abitato dal canto degli uccelli, dal fruscio delle foglie, dal mormorio dell’acqua. Ma proprio questo lo rende così nutriente: è un silenzio che respira, che pulsa, che ci ricorda di appartenere a un tutto più grande.

Henry David Thoreau, che trascorse due anni sulle rive di Walden, annotava: “Non ho mai trovato un compagno che mi fosse così socievole come la solitudine.” Nel suo silenzio contemplativo scopriva la presenza più piena, quella di sé e del mondo insieme.

Anche noi, senza bisogno di ritirarci in una capanna, possiamo assaporare questo silenzio vivo: basta concedersi una passeggiata senza auricolari, sedersi a guardare un tramonto, respirare profondamente sotto un albero.

Il silenzio spirituale

Il silenzio non è solo un’esperienza psicologica o estetica: è anche profondamente spirituale.
Nelle tradizioni cristiane, il silenzio è da sempre il luogo dell’incontro con Dio. “Fermatevi e riconoscete che io sono Dio” recita il Salmo 46. Non si tratta di fare, ma di essere, di restare in ascolto di quella Presenza che non ha bisogno di parole per farsi sentire.

Simone Weil, pensatrice francese del Novecento, scrisse: “Il silenzio è la condizione della verità.” E davvero, solo quando mettiamo a tacere il frastuono interiore, possiamo distinguere la voce sottile che ci parla dal profondo, quella che ci orienta verso ciò che conta davvero.

Il silenzio spirituale non è isolamento, ma apertura: apre il cuore a un Altro, e ci insegna a percepire la vita come un dono.

Concludendo: un invito al silenzio

Nel mio giardino interiore, il silenzio è come un piccolo stagno d’acqua limpida. Se lo custodisco, posso specchiarmi e ritrovare la mia immagine vera. Se lo turbolento troppo, l’acqua si increspa e non vedo più niente.

Credo che ognuno di noi abbia bisogno di momenti di silenzio nutritivo. Non per scappare dal mondo, ma per ritornare al mondo più centrati, più autentici, più capaci di amare.

Chiudo con una frase di Thomas Merton, monaco e poeta:
“Il silenzio non è vuoto, è pienezza. È la pienezza che non abbiamo ancora imparato a riconoscere.”

E forse il nostro compito, giorno dopo giorno, è proprio questo: imparare a riconoscere la pienezza che il silenzio custodisce.

Rimanendo nel nostro giardino interiore, mi piacerebbe sapere se anche voi avete sperimentato la forza silenziosa del fermarvi, del respirare, dell’ascoltare la vostra voce più autentica.

Avete un luogo, un gesto, un piccolo rito quotidiano che vi aiuta a coltivare il silenzio?
Vi invito a condividerlo nei commenti: le vostre esperienze potranno diventare semini preziosi per chi leggerà dopo di voi.

Il silenzio, in fondo, non è mai vuoto: è un dono che cresce quando lo si condivide.
Con affetto,

Raffaella